
La derivazione ventricolare esterna in Neurorianimazione rappresenta uno strumento fondamentale sia per il controllo che per il trattamento del danno cerebrale. Non va considerata soltanto come un semplice drenaggio temporaneo del liquor, ma come una vera e propria terapia mirata. Le indicazioni principali riguardano l’idrocefalo secondario a emorragia o a processi neoplastici, nei casi in cui sia plausibile un rapido recupero della normale circolazione liquorale ma questo dispositivo trova inoltre impiego nei traumi cranici gravi, dove permette sia la misurazione della pressione intracranica sia, quando necessario, la riduzione terapeutica della stessa tramite drenaggio.
Questo articolo nasce dalla domanda di un membro del forum @Mario89 (che ringrazio per il suggerimento), che mi ha spinto a trattarlo per aiutare gli studenti che spesso si trova ad affiancare. Ho quindi elaborato l'articolo con l’intento di chiarire non solo le modalità di gestione di questo presidio, ma anche le ragioni cliniche che ne giustificano l’utilizzo.
Il sistema nervoso centrale
Il sistema nervoso centrale è formato dall’encefalo e dal midollo spinale.
L’encefalo si divide in quattro parti principali: gli emisferi cerebrali, il diencefalo, il tronco encefalico, il cervelletto.
Gli emisferi cerebrali occupano la parte più alta e sono i più grandi: da soli hanno un volume maggiore delle altre tre regioni messe insieme. La loro superficie è ricca di rilievi, le circonvoluzioni, separate da solchi e scissure, che servono anche come punti di riferimento anatomico. Gli emisferi sono separati tra loro da una grande scissura longitudinale e, grazie ad altre scissure, si dividono in lobi, che prendono il nome dall’osso cranico che li ricopre (lobo frontale, parietale, temporale, occipitale).
Encefalo e midollo sono avvolti da tre membrane protettive, le meningi, immerse nel liquido cerebrospinale (LCS) e racchiuse dal cranio e dalla colonna vertebrale.
- La dura madre è lo strato più esterno e robusto.
- L’aracnoide è quello intermedio e forma piccole trabecole che collegano lo strato esterno a quello interno.
- La pia madre è la più sottile e aderisce direttamente alla superficie del cervello e del midollo, seguendone le pieghe.
Il liquido cerebrospinale ha la funzione di proteggere e nutrire il sistema nervoso. Viene prodotto nei ventricoli (soprattutto dai plessi coroidei), circola costantemente tra i ventricoli e lo spazio subaracnoideo e infine viene riassorbito dai villi aracnoidei, che lo riversano nel sangue venoso. In condizioni normali la produzione e il riassorbimento sono equilibrati (circa 20-25 ml all’ora, per un totale di circa 150 ml), così la pressione rimane stabile.
La teoria di Monro-Kellie
Il cranio è una scatola rigida: non può allargarsi né cedere. Al suo interno ci sono tre elementi principali:
- il tessuto cerebrale (circa l’80%),
- il sangue (10%),
- il liquido cerebrospinale (10%).
La teoria di Monro-Kellie dice che, per mantenere una pressione intracranica (PIC) normale, la somma dei volumi di questi tre componenti deve restare costante. Se uno di essi aumenta, gli altri due devono ridursi per compensare.
All’inizio, grazie a questi meccanismi di compenso, anche se aumenta il volume non si hanno grandi variazioni di pressione: è la fase della compliance. Per esempio, una massa che cresce lentamente può diventare piuttosto grande senza dare sintomi gravi. Quando però i sistemi di compenso si esauriscono, anche un piccolo aumento di volume provoca un forte incremento della pressione. È la fase di scompenso, che porta a ipertensione endocranica (IE).
In questa fase può comparire il riflesso di Cushing, che è una risposta del corpo all’aumento improvviso della PIC e comprende: pressione arteriosa alta, battito cardiaco lento, respiro irregolare.

L’ipertensione endocranica è pericolosa perché può: causare erniazioni cerebrali, ridurre il flusso di sangue al cervello, aumentando il rischio di ischemia.
Pressione intracranica (PIC) e pressione di perfusione cerebrale (PPC)
Per valutare lo stato del cervello nei pazienti con gravi traumi o patologie neurologiche si utilizza un catetere posizionato chirurgicamente all’interno del cranio. Questo permette di monitorare due parametri fondamentali: la pressione intracranica (PIC) e la pressione di perfusione cerebrale (PPC).
In condizioni normali la PIC varia tra 0 e 15 mmHg; valori leggermente più alti, tra 15 e 20 mmHg, possono essere tollerati solo per breve tempo, mentre quando supera i 20 mmHg aumenta il rischio di danno cerebrale. A volte si possono registrare valori negativi, che non sono attendibili: questo può accadere, ad esempio, dopo una deliquorazione terapeutica o in seguito a un intervento di decompressione. Oltre al numero mostrato sul monitor, è importante osservare anche la forma dell’onda della PIC, che fornisce informazioni aggiuntive.
La PPC rappresenta invece la pressione effettiva con cui il sangue riesce a raggiungere il cervello. Si calcola sottraendo la PIC dalla pressione arteriosa media (PAM). Un valore ottimale di PPC è superiore a 80 mmHg, per questo i pazienti con trauma cranico vengono spesso mantenuti con una PAM più alta della norma, sopra i 90 mmHg. In questo modo si assicura che il cervello riceva abbastanza ossigeno e nutrienti. Per sicurezza, gli allarmi del monitor vengono impostati con valori minimi e massimi sia per la PIC sia per la PPC, così da segnalare eventuali variazioni pericolose.
L’aumento della pressione intracranica può dipendere da diversi fattori: la crescita di tumori, ematomi, ascessi o aneurismi; la presenza di edema cerebrale; alterazioni del liquor come un’ostruzione, un difetto di riassorbimento o una produzione eccessiva; oppure problemi circolatori come vasodilatazione, ostacoli al ritorno venoso o un aumento della pressione addominale o toracica.
Quando la PIC aumenta in modo significativo, il paziente tende a perdere progressivamente lucidità. Si osservano cefalea, nausea con o senza vomito, agitazione o confusione, fino a una ridotta capacità di rispondere agli stimoli. Nei bambini e nei neonati i segni possono essere diversi: irritabilità, scarso appetito, vomito frequente e rigonfiamento delle fontanelle. Altri campanelli d’allarme sono le alterazioni delle pupille, che possono reagire lentamente o in maniera asimmetrica alla luce, e i deficit motori, come debolezza di un lato del corpo.
Il monitoraggio della PIC è quindi importantissimo, perché consente di individuare precocemente un’ipertensione endocranica, anche quando l’esame clinico è difficile da eseguire (per esempio nei pazienti sedati). Inoltre, permette di valutare l’evoluzione di eventuali masse intracraniche e di regolare al meglio la PPC, riducendo il rischio di danni secondari. Diversi studi hanno dimostrato che quando la PIC raggiunge o supera i 20 mmHg aumenta la probabilità di peggioramento neurologico. Per questo il monitoraggio dovrebbe iniziare il prima possibile e proseguire fino a quando i valori si stabilizzano: di solito viene sospeso solo se la PIC rimane normale per almeno uno o più giorni, anche dopo aver tolto la terapia specifica.
Monitoraggio invasivo della pressione intracranica
Per controllare in modo diretto la pressione intracranica (PIC) si utilizza un catetere inserito chirurgicamente, che può essere posizionato nel parenchima cerebrale oppure nei ventricoli. La scelta dipende principalmente dalle immagini TAC: se sono presenti ventricoli dilatati o raccolte di liquor, è preferibile un catetere ventricolare, che consente anche il drenaggio del liquido cerebrospinale.

Il monitoraggio intraventricolare ha diversi vantaggi: è preciso nella misurazione della pressione, permette di osservare l’onda della PIC, di drenare liquor in caso di idrocefalo e persino di somministrare farmaci direttamente nei ventricoli. Inoltre, è meno costoso rispetto ad altri sistemi e lo zero può essere ricalibrato. Tuttavia presenta anche limiti importanti, come la difficoltà di posizionamento nei ventricoli piccoli, il rischio più elevato di infezione, le frequenti ostruzioni del catetere e la necessità di controllare accuratamente la posizione della testa del paziente.
Il monitoraggio intraparenchimale, invece, ha il vantaggio di essere più semplice da inserire, meno invasivo e con minore rischio di infezioni. Fornisce dati affidabili e immediati, ma non permette di drenare il liquor né di ricalibrare lo zero. Inoltre, col passare del tempo la misurazione può diventare meno precisa e il sistema risulta più costoso.
La derivazione ventricolare esterna (DVE)
La derivazione ventricolare esterna è un sistema temporaneo che unisce una parte interna, costituita dal catetere ventricolare, a una parte esterna che serve per misurare e raccogliere il liquor drenato.
Viene utilizzata non solo per monitorare la PIC, ma anche per ridurre la pressione drenando il liquor dai ventricoli, per osservare le caratteristiche del liquido e per prelevarne campioni a scopo diagnostico. La DVE, oltre al catetere, comprende un rubinetto collegato al trasduttore per la misurazione della pressione, un sistema per il prelievo di campioni, una camera di gocciolamento graduata che raccoglie il liquor drenato e una sacca di raccolta.
