
Un infarto miocardico acuto (IMA) è la necrosi del tessuto cardiaco dovuta a un’ischemia prolungata, cioè un’ostruzione di una coronaria che impedisce al cuore di ricevere ossigeno.
Sintomi tipici
L'IMA provoca nei casi "da manuale" un tipico dolore toracico costrittivo, oppressivo, irradiato a braccio sinistro, mandibola o dorso spesso associato a sudorazione algida (diaforesi). In alcuni casi si associano anche nausea, vomito
e dispnea. Ma attenzione che in anziani, donne e diabetici può presentarsi in modo atipico con debolezza, malessere generalizzato e sincope.
L’elettrocardiogramma è il primo esame per riconoscere un infarto: rapido, disponibile ovunque, salva-tempo e quindi salva miocardio: ogni minuto conta.
Innanzitutto bisogna fare delle precisazioni, non tutti gli infarti si possono evidenziare all'ECG, ma fortunatamente un buon 60% li vediamo all'ECG.
Sostanzialmente suddividiamo gli infarti in STEMI (con sopraslivellamento ST), e NSTEMI (senza sopraslivellamento ST).
Infarto STEMI (con sopraslivellamento ST)
Segni chiave:
- Sopraslivellamento del tratto ST ≥1 mm in ≥2 derivazioni contigue
- Aspetto “a tenda” o “a cupola” del tratto ST
- Onde T iperacute (alte, appuntite) nelle fasi iniziali
- Evoluzione: comparsa di onde Q patologiche


Infarto NSTEMI (senza sopraslivellamento ST)
- Depressione del tratto ST
- Inversione delle onde T
- L'ECG può essere anche quasi normale → si fa diagnosi di conferma con markers cardiaci (troponina - CK).
Dopo qualche ora o giorno dall’infarto, sull’ECG possono comparire le cosiddette onde Q patologiche. Queste onde indicano che una parte del muscolo cardiaco ha subito una necrosi e, di fatto, rappresentano un segno di danno irreversibile. In termini pratici, un’onda Q diventa sospetta quando è abbastanza ampia rispetto all’onda R vicina o ha una durata maggiore di 0,04 secondi. Vederle sull’ECG significa che una porzione del cuore non funziona più come prima, perché il tessuto è stato danneggiato.

Ogni infarto coinvolge un territorio specifico del cuore, e questo si riflette sulle derivazioni dell’ECG. Un infarto anteriore si nota soprattutto nelle derivazioni V1-V4, mentre uno laterale coinvolge I, aVL, V5-V6. Se il danno è inferiore, i cambiamenti si vedono in II, III e aVF, e in alcuni casi, quando l’infarto è posteriore, serve guardare derivazioni speciali come V7-V9, spesso associate a segni indiretti come la depressione del tratto ST nelle precordiali anteriori.

Non bisogna dimenticare che non tutto ciò che sembra un infarto lo è realmente. Alcune condizioni possono “mimare” l’infarto: per esempio, la pericardite provoca sopraslivellamento ST diffuso e cambiamenti del tratto PR, la sindrome di Brugada ha caratteristiche simili in alcune derivazioni, così come alterazioni dovute a iperkaliemia o blocchi di branca.
Se sospetti che il paziente che hai davanti a te al triage abbia un infarto, la priorità assoluta è avvisare il cardiologo di riferimento, fare un ECG immediato e seguire i protocolli di presa in carico anticipata (se presenti nella tua realtà lavorativa). L’obiettivo finale deve essere la riperfusione del cuore, tramite angioplastica primaria il prima possibile.