
È un pomeriggio freddo. Il 118 riceve una chiamata concitata: un uomo di 82 anni, affetto da BPCO grave, respira con fatica nonostante l’ossigeno. La voce della figlia è tesa, parla di labbra bluastre e confusione mentale. L’ambulanza parte in codice rosso.
All’arrivo, il paziente è seduto, affannato, con respiro corto e sguardo smarrito. Gli infermieri agiscono in silenzio ma con rapidità: ossigeno, monitoraggio, comunicazione con il pronto soccorso. Ogni gesto è calibrato per guadagnare tempo e stabilizzare la respirazione.
Pochi minuti dopo, in triage, la squadra è pronta ad accogliere il paziente. Il rumore dei monitor, la voce ferma dell’infermiere e il respiro faticoso dell’uomo segnano l’inizio di una corsa contro il tempo: riconoscere, trattare, salvare.
Ma cosa è una BPCO?
Quali sono i segni e sintomi?
Come è stato trattato il paziente?
Leggi qui sotto per scoprirlo.
La Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva, meglio conosciuta come BPCO, è una patologia respiratoria caratterizzata dalla presenza di bronchite cronica e/o enfisema polmonare, a cui in alcuni casi può aggiungersi anche una componente asmatica. Si tratta di una malattia in cui il flusso aereo risulta ostruito in maniera progressiva e persistente, spesso accompagnato da un certo grado di iperreattività bronchiale. Questa ostruzione, pur non essendo completamente reversibile, può talvolta migliorare parzialmente con il trattamento e con la rimozione dei fattori di rischio, come il fumo di sigaretta.
Sintomatologia
Dal punto di vista clinico, il paziente con BPCO manifesta una serie di sintomi che tendono a peggiorare nel tempo. I più comuni sono la dispnea, che diventa progressivamente più intensa e limitante, e l’intolleranza allo sforzo fisico, con la comparsa di affaticamento anche per attività minime. Un altro elemento importante da monitorare è lo stato mentale: la comparsa di confusione, letargia o riduzione della vigilanza rappresenta un segnale di allarme, poiché può indicare un accumulo eccessivo di anidride carbonica nel sangue (ipercapnia) e quindi un peggioramento della funzione respiratoria.
Per valutare in modo oggettivo le alterazioni dello stato di coscienza in questi pazienti, possiamo utilizzare la scala di Kelly, uno strumento clinico che classifica il grado di compromissione neurologica in sei livelli progressivi di gravità. Questa scala è particolarmente utile in ambito infermieristico e di pronto soccorso per riconoscere tempestivamente i segni di deterioramento e attivare le misure di supporto più adeguate.
| Grado | Situazione |
| 1 | paziente sveglio, esegue 3 ordini complessi |
| 2 | paziente sveglio, esegue solo ordini semplici |
| 3 | paziente sonnolento, risvegliabile a comando verbale |
| 4 | paziente sonnolento, risvegliabile a stimoli fisici |
| 5 | paziente in coma, senza alterazioni tronco-encefaliche |
| 6 | paziente in coma, con alterazioni tronco-encefaliche |
Le linee guida consigliano un'intubazione precoce su paziente in scala 3 o superiore.
Il paziente potrebbe presentare dispnea o tachipnea, con utilizzo dei muscoli respiratori accessori, rientramento delle fosse sovraclaveari, del giugulo e degli spazi intercostali.
È necessario fare attenzione alla comparsa di segni di “fatica” respiratoria, che possano preludere ad arresto respiratorio, tra cui, principalmente, la dissociazione toraco-addominale del respiro: la parete addominale rientra durante l’inspirazione!
Altri sintomi importantissimi sono:
- cianosi, centrale ed eventualmente periferica. La cianosi può essere accentuata dalla poliglobulia compensatoria o velata da eventuale concomitante anemia;
- sibili, ronchi (quando prevale l’ostruzione intrinseca delle vie aeree), riduzione diffusa del murmure vescicolare (quando prevale l’enfisema);
- rantoli inspiratori tendenti a modificarsi con i colpi di tosse (esprimono presenza di secrezioni e/o possono essere dovuti all’apertura asincrona delle piccole vie aeree periferiche) o non tendenti a modificarsi con i colpi di tosse (qualora, per es. coesista insufficienza ventricolare sinistra);
- turgore delle giugulari (evidente particolarmente in fase espiratoria, esprime aumento della pressione intratoracica o scompenso cardiaco destro);
- tachicardia.
Nel paziente enfisematoso avremo anche tosse non produttiva e sensazione di esaurimento fisico; e ancora potremmo riscontrare: torace “a botte”, respirazione prolungata “a labbra contratte”, iperfonesi diffusa alla percussione del torace, rumori respiratori parafonici, toni cardiaci parafonici.
Nel paziente bronchitico (definito anche blue bloater) avremo tosse produttiva ingravescente e forte senso di costrizione toracica; e ancora potremmo riscontrare: un aumento degli edemi periferici, aumento di peso, dita a bacchetta di tamburo e più raramente ascite, epatomegalia, reflusso epatogiugulare.
Gestione del paziente - Monitoraggio
Il monitoraggio nelle riacutizzazioni della BPCO deve essere continuo e mirato, poiché anche piccole variazioni nei parametri possono avere conseguenze importanti. Innanzitutto, è necessario tenere sotto controllo i segni vitali, che rappresentano la base per valutare l’evoluzione clinica del paziente. Allo stesso tempo, è utile monitorare l’ECG e il ritmo cardiaco, ricordando che l’ipossia può precedere e favorire episodi ischemici: per questo è importante cogliere precocemente ogni alterazione.
Un altro parametro chiave è la saturazione di ossigeno, che deve essere mantenuta entro un intervallo di sicurezza compreso tra il 91% e il 93%. Questo range non è casuale: un’eccessiva somministrazione di ossigeno può ridurre lo stimolo respiratorio nei pazienti con BPCO cronica, mentre valori troppo bassi indicano un’insufficiente ossigenazione.
Infine, l’emogasanalisi fornisce informazioni preziose sull’equilibrio acido-base e sull’efficacia degli scambi respiratori. Nella maggior parte dei casi, il pH tende a rimanere entro limiti quasi normali, grazie al compenso renale che si instaura nel tempo. Tuttavia, ogni variazione significativa deve essere interpretata con attenzione, perché può segnalare un peggioramento della situazione respiratoria o un’insufficienza del meccanismo di compenso.
Un segnale importante da non trascurare è la riduzione del pH: valori inferiori a 7,3 devono far sospettare una riacutizzazione significativa, mentre un pH che scende al di sotto di 7,2 rappresenta una condizione di estrema gravità. In questa situazione, il paziente è a rischio concreto — e talvolta imminente — di arresto respiratorio e cardiaco, richiedendo quindi un intervento tempestivo e un monitoraggio intensivo.
Un altro esame utile è la spirometria “a letto”, che consente di valutare la funzione respiratoria in modo semplice e immediato anche nei pazienti allettati. In particolare, l’osservazione di un picco di flusso espiratorio (PEF) inferiore al 50% dei valori normali è indice di una riacutizzazione grave e richiede un approccio terapeutico urgente.
Dal punto di vista laboratoristico e diagnostico, il dosaggio del BNP può aiutare a distinguere tra una riacutizzazione della BPCO e un episodio di insufficienza cardiaca acuta. In generale, valori di BNP inferiori a 100 pg/ml rendono poco probabile un’origine cardiaca, mentre livelli superiori a 500 pg/ml suggeriscono con forza una componente di scompenso cardiaco. Anche la determinazione del D-dimero può fornire informazioni preziose: infatti, circa un quarto dei pazienti con BPCO in riacutizzazione severa, senza un chiaro fattore scatenante, può presentare una concomitante embolia polmonare.
Sul piano diagnostico, è indispensabile completare la valutazione con un RX torace, utile per la diagnosi differenziale con condizioni come polmonite o pneumotorace. L’emocromo completo permette di individuare eventuali infezioni o stati infiammatori, mentre il dosaggio degli elettroliti è fondamentale per rilevare alterazioni come l’ipokaliemia, spesso indotta dall’uso di diuretici, beta2-agonisti o teofillinici.
È inoltre importante controllare la glicemia, l’azotemia e la creatininemia per valutare la funzione metabolica e renale del paziente, soprattutto nei soggetti con comorbilità o trattamenti farmacologici complessi. Nei pazienti già in terapia con teofillina, è necessario determinare la teofillinemia per assicurarsi che i livelli plasmatici siano adeguati e non tossici.
Infine, in presenza di sospetta polmonite, è indicato l’esame microscopico e colturale dell’espettorato, mentre la TAC spirale diventa fondamentale se si sospetta un evento tromboembolico a carico della circolazione polmonare.
Trattamento in ambito extraospedaliero
La gestione del paziente con BPCO in riacutizzazione richiede prontezza e precisione, poiché l’obiettivo principale è garantire un’adeguata ossigenazione e prevenire l’evoluzione verso l’insufficienza respiratoria acuta. La prima misura da adottare è la somministrazione di ossigeno, con l’obiettivo di mantenere una saturazione di ossigeno (SpO₂) intorno al 90%. È importante ricordare che l’ipossiemia rappresenta la minaccia più immediata per la vita del paziente: infatti, un paziente con BPCO muore più facilmente per una carenza di ossigeno che non per un eccesso di anidride carbonica.
L’ossigeno può essere somministrato attraverso diverse modalità, a seconda della gravità del quadro e delle condizioni cliniche. Nelle forme più lievi o moderate, si possono utilizzare le cannule nasali, regolando il flusso tra 2 e 4 litri al minuto. Quando si desidera un controllo più preciso della frazione inspirata di ossigeno (FiO₂), è preferibile utilizzare la maschera di Venturi, che consente di erogare concentrazioni di ossigeno comprese tra il 24% e il 50% in modo costante e affidabile.
Come anticipato nel paragrafo precedente, in presenza di un’alterazione importante dello stato di coscienza, come ottundimento del sensorio (grado 3 della scala di Kelly), stupore o coma, l’ossigeno non deve mai essere sospeso o ridotto. Al contrario, queste condizioni indicano la necessità di un intervento immediato: il paziente deve essere intubato e sottoposto a ventilazione meccanica invasiva per garantire una ventilazione efficace e sicura.
Accanto all’ossigenoterapia, è fondamentale somministrare farmaci broncodilatatori. I beta2-agonisti inalatori, come il salbutamolo o il fenoterolo, rappresentano il trattamento di prima scelta: in fase acuta, è indicata la somministrazione di due nebulizzazioni ogni 15 minuti, fino al miglioramento del quadro clinico.
Infine, i corticosteroidi svolgono un ruolo essenziale nel ridurre l’infiammazione delle vie aeree e migliorare la risposta alla terapia broncodilatatrice. In urgenza, si somministra metilprednisolone per via endovenosa alla dose di 125 mg, seguito da 0,5 mg/kg ogni sei ore, sempre per via endovenosa.
Trattamento in Pronto Soccorso
La prima misura da adottare è la somministrazione di ossigeno, che può avvenire tramite cannula nasale o, preferibilmente, con maschera di Venturi, in modo da mantenere una saturazione (SaO₂) pari o superiore al 90%. L’ossigeno deve essere somministrato con attenzione, bilanciando il rischio di ipossiemia — che rappresenta la minaccia più immediata per la vita — con quello di ipercapnia.
In presenza di un quadro di imminente arresto respiratorio, può essere necessario somministrare adrenalina per via sottocutanea alla dose di 0,3 cc di soluzione 1:1000, ripetibile ogni 20 minuti fino a tre volte. Se le condizioni del paziente non migliorano, si può considerare la somministrazione endovenosa di salbutamolo (0,5 mg diluito in 100 ml di soluzione fisiologica, infuso in circa 30 minuti).
Tra le terapie broncodilatatrici di prima linea rientrano i beta2-agonisti a breve durata d’azione, come il salbutamolo, somministrato per via inalatoria con due nebulizzazioni ogni 30 minuti. A questi va sempre associato un anticolinergico, come l’ipratropio bromuro, somministrato con tre nebulizzazioni iniziali, seguite da due nebulizzazioni all’ora per le prime due ore, e successivamente da due nebulizzazioni ogni sei ore, a tal proposito l'uso del MAD per nebulizzare per via nasale è fondamentale.
Parallelamente, è fondamentale la somministrazione di corticosteroidi per via endovenosa — il metilprednisolone rappresenta il farmaco di scelta — con una dose iniziale di 125 mg, seguita da 0,5 mg/kg ogni sei ore. Nei casi in cui si sospetti un’infezione batterica, è opportuno introdurre una copertura antibiotica mirata verso i patogeni più frequentemente coinvolti, come Streptococcus pneumoniae, Haemophilus influenzae, Moraxella catarrhalis, Legionella e alcuni Gram negativi enterici. Le opzioni terapeutiche comprendono, a seconda del caso clinico, ceftriaxone (1 g EV ogni 24 ore), levofloxacina (500 mg EV ogni 24 ore), amoxicillina-acido clavulanico (1 g per os ogni 12 ore), trimetoprim-sulfametossazolo (160/800 mg per os ogni 12 ore), azitromicina (500 mg per os al giorno), cefuroxima (250-500 mg per os ogni 12 ore) o doxiciclina (200 mg per os al giorno).
Se necessario, si possono somministrare anche metilxantine per via endovenosa, come l’aminofillina, alla dose di una fiala da 240 mg somministrata lentamente. Parallelamente alla terapia farmacologica, è importante individuare rapidamente la causa scatenante della riacutizzazione, che può essere legata a un’infezione, a un abuso di farmaci sedativi o ad altri fattori precipitanti.
Ventilazione meccanica invasiva o non invasiva?:
Il ricorso alla ventilazione meccanica invasiva deve essere immediato nei pazienti che mostrano un progressivo peggioramento dello stato di coscienza (grado 3 della scala di Kelly), un aumento dello sforzo respiratorio con segni di distress, un’acidosi respiratoria severa (pH < 7,25) o instabilità emodinamica con ipotensione e segni di ipoperfusione periferica.
In modo più specifico, i criteri che richiedono il supporto ventilatorio invasivo comprendono dispnea grave con evidente uso dei muscoli accessori e movimento addominale paradosso, frequenza respiratoria superiore a 35 atti al minuto, ipossiemia pericolosa per la vita (PaO₂ < 40 mmHg o PaO₂/FiO₂ < 200 mmHg), acidosi marcata con ipercapnia (PaCO₂ > 60 mmHg), alterazione dello stato di coscienza, complicanze cardiovascolari (ipotensione, shock, insufficienza cardiaca), complicanze metaboliche o infettive (sepsi, polmonite, embolia polmonare, versamento pleurico massivo) e, naturalmente, il fallimento della ventilazione non invasiva.
Nei pazienti che, invece, sono vigili e collaboranti, è possibile adottare la ventilazione meccanica non invasiva (NIMV) mediante CPAP o BiPAP. Quest’ultima viene impostata con una pressione inspiratoria positiva (IPAP) iniziale di circa 8 cmH₂O e una pressione espiratoria positiva (EPAP) di 4 cmH₂O, da modulare in base alla risposta clinica e ai valori emogasanalitici.